Siamo fatti della stessa sostanza del mare. La nostra origine è li. Chiunque tu sia e chiunque io sia, ci apparteniamo, siamo ibridi, siamo fatti della stessa sostanza.
E possiamo (lasciarci) amare.
📽️ https://youtu.be/d0KtLUU2gts
👉 https://margherita-tassi.ch/hybrid-danza/
💃 In scena: Margherita Tassi
🕺Regia e coach: Giuseppe Asaro
UN VUOTO SPAZIO
(liberamente ispirato a “Il gabbiano”, di Anton Cechov)
Ideazione e coreografia: Giuseppe Asaro
Regia: Luca Spadaro
Danzatori: Giuseppe Asaro e Francesca Sproccati
Un Vuoto Spazio nasce dall’esigenza di relazionarsi con l’altro (Duetto) , per mettere in scena uno stato profondo dell’anima che non avra’ mai una risposta se non l’atto creativo in sé.
L’unica verita’ è quella del corpo, Trepliov nel Gabbiano si uccide per eliminare il corpo in modo tale da porre fine al dramma di non essere amato, ogni personaggio creato da Checov nel Gabbiano ci mostra delle sfaccettature sottili e profonde del nostro stato d’animo in relazione con l’altro.
Come puo’ tutto questo risolversi in una danza, lasciando che sia il corpo a raccontare e non i fatti o le parole?
Due danzatori, uno spazio vuoto,un tavolo e due sedie separati da un telo che delimita i due confini.
Questi sono gli elementi concreti con cui si racconterà la storia.
Due corpi in movimento, due soli personaggi: Lui e Lei (il figlio e la madre, il fratello e la sorella, gli innamorati, gli amanti, colui che guarda e colei che si nasconde, il regista e l’attrice) in un fluido alternarsi di relazioni.
Non si tratta di un gioco in cui “si dice il Gabbiano senza usare le parole”. Si vedrà quello che di solito è nascosto, cercando di tradurre la commedia in una danza, tradendo l’originale nel tentativo di rimanergli fedele.
Da alcuni anni Giuseppe Asaro e Luca Spadaro stanno sperimentando la possibilità un incontro creativo sul confine delle rispettive arti: da un lato la danza, dall’altro il teatro di prosa, in mezzo lo spazio per costruire una storia a partire dal corpo.
Due danzatori, uno spazio vuoto,un tavolo e due sedie. Questi sono gli elementi concreti con cui si racconterà la storia.
Due corpi in movimento, due soli personaggi: Lui e Lei (il figlio e la madre, il fratello e la sorella, gli innamorati, gli amanti, colui che guarda e colei che si nasconde, il regista e l’attrice) in un fluido alternarsi di relazioni.
Non si tratta di un gioco in cui “si dice il Gabbiano senza usare le parole”. Si vedrà quello che di solito è nascosto, cercando di tradurre la commedia in una danza, tradendo l’originale nel tentativo di rimanergli fedele.
Da alcuni anni Giuseppe Asaro e Luca Spadaro stanno sperimentando la possibilità un incontro creativo sul confine delle rispettive arti: da un lato la danza, dall’altro il teatro di prosa, in mezzo lo spazio per costruire una storia a partire dal corpo.
Un gabbiano che danza
Dal repertorio classico, moderno e contemporaneo si assiste a un continuo travaso di reciproca empatia fra il teatro e la danza: un rapporto complesso, rispettoso, delicato e sinuoso. Può apparire una sfida se un regista teatrale viene chiamato a firmare la messa in scena di uno spettacolo di danza. Ne è però valsa la pena per Un vuoto spazio, spettacolo in prima assoluta al Teatro Sociale di Bellinzona e liberamente ispirato a Il gabbiano di Cechov.
Un’idea coreografica di Giuseppe Asaro in scena con Francesca Sproccati. Inizio molto fisico in cui i due protagonisti si presentano in proscenio invocando un rituale individuale di movimenti ripetuti, come cercando di liberarsi di qualcosa. Gli ambienti musicali e sonori sono ipnotici, lontani e profondi al medesimo tempo, evocatori di spazi e memoria. Per i due personaggi inizia una trama di incontri, di contatti svelati o intimi, come quelli resi dietro a un velario dove un tavolo e due sedie creano la parentesi domestica.
Suggestioni teatrali di Spadaro come i tagli di luce, ora caldi ora accennati, fra sospensioni e cambi d’accento sui movimenti: allusioni a una storia dove immaginiamo la Nina di Cechov, ora con Treplëv ora con Trigorin in un amore il cui il movimento dei corpi è in un continuo equilibrio fra contatti giocati sulla leggerezza. Riconoscervi la commedia di Cechov non è scontato, conoscerne la storia può però fornire indicazioni. Come in alcune azioni ripetute dove gli amanti si attraggono e si respingono in un loop di ripetizioni (talvolta eccessive) per un sottinteso drammatico. O come l’intreccio delle braccia in un estremo battito di ali (il gabbiano).
Lo spettacolo termina sulla falsariga del suo esordio con i danzatori che rievocano i loro primi movimenti, ma a vivere, seppur disperatamente, c’è solo Nina. Di lui non ci resta che un’espressione fissa, ormai spenta. Una prova intensa e affiatata di Francesca Sproccati e Giuseppe Asaro per uno spettacolo riuscito nell’incontro creativo tra l’idea coreografica e la sostanza teatrale.
07.11.2016
di Giorgio Thoeni
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SOLITUDINI
Un progetto di Giuseppe Asaro
SoliTudini
(Progetto Foto di Paolo Tosi e video di Giuseppe Asaro)
«Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un po’ diverso quando lo si esprime, un po’ falsato, un po’ sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ sciocco alle orecchie degli altri.» (Siddharta)
Nel contesto del progetto “A Oriente! A Oriente!” teso a ripercorrere le traccie di “Colui che cerca”, ovvero il Siddharta di Herman Hesse, si snoda un percorso di ricerca artistica: un intreccio tra gli elementi scaturiti dal romanzo e la realtà vissuta quale prova di una possibilità: la ricerca di se stessi negli elementi naturali, umani e non, che si intersecano nell’infinita essenza della vita.
L’inquietudine esistenziale, dell’ansia di ricerca di se stessi, dell’orgoglio dell’individuo davanti al mondo ed alla storia, accomunati in un rifiuto senza appello, alimentato anche dall’arte e dalla cultura orientale e indiana in particolare.
La ricerca di una strada di vita nei più svariati modi. Un viaggio affianco ad amici e saggi. Una vita fatta di poco o nulla, che cerca di immedesimarsi con ciò che si incontra. Ma si deve far conto con le debolezze umane.
La ricerca di vita, di una nuova strada, che si può trovare sulle sponde di un fiume che potrebbe anche porre fine alla vita. L’essenza dell’acqua che mostra il proprio spirito: fiume entità viva, che parla e insegna. Ma molto c’è da imparare anche dal silenzio, dalla solitudine.
Le solitudini di colui che cerca ed è cercato da se stesso, cerca gli elementi ed è egli stesso elemento.
L’esplorazione, la scoperta di luoghi vuoti come vuoto è lo spazio che si vuole creare dentro di sé. Una dimensione interiore che vuole richiamare la semplicità. Una semplicità possibile se si è disposti a mettersi a nudo, togliendo da sé i pensieri contenuti per far emergere il contenitore, il luogo.
È cosi che un luogo, quale immagine prospettica e proiettiva di se stessi, volutamente vuoto per accogliere se stessi, permette la vera ricerca di sé. Un viaggiare nello spazio vuoto come viaggio interiore. Viaggio continuo, fluido e fluente, distinto ed indistinguibile, mutante ma permanente, in movimento ma fermo, come atomo integrato delle forze in campo.
Le scene rendono il senso di un viaggio continuo in uno spazio definito. Colui che cerca fa parte dello spazio equivalendo egli ad ogni elemento nonostante se ne distingua: è sedia con la sedia, porta con la porta, muro tra i muri, parete nella parete. Ma la sedia è camminata, la porta sa comunicare comunicazione, la parete è immedesimazione. Colui che cerca non è queste cose. Se ne confronta ricercando cosa lo differenzi da queste, ricercando il se stesso che non è nelle altre cose.
Non si vuole descrivere un luogo specifico ma la solitudine di colui che cerca, nella ricerca di se stesso. Ogni spazio comunica con altri, ogni stanza permette la visione delle altre creando la sensazione di un flusso continuo. Da ciascuna stanza, ben delimitata, a sé stante, si vedono più stanze. Ambienti separati ma continui.
Il continuo movimento della visione dello spazio è fluido e ininterrotto. Lo sguardo si sofferma su colui che cerca come su qualsiasi altro elemento dello spazio essendo questi fusi e partecipi di un’unica realtà.
La visione è perennemente volta verso l’interno dello spazio. Dalle finestre non si vede l’esterno, poiché non servono a mostrare ciò che c’è fuori ma a far luce su ciò che c’è dentro. Ogni elemento svolge la funzione di arricchire l’intimo dall’interno, sufficiente a se stesso, semplice ed essenziale, non separato e non separante.
Il corpo, il movimento e lo spazio partecipano nel costruire il senso di mancanza di riferimenti. Mancanza che può essere smarrente e smarrita ma anche maestra di vita. Insegna la capacità di restare senza riferimenti costruendoli in un processo continuo, non a partire da un’idea precedente ma in un continuo processo di ricerca.
Performance In collaborazione con Luca Spadaro
“Solitudini”, ovvero lo stato dell’uomo alla ricerca di un senso, il tempo dell’artista mentre si compie la creazione.
La solitudine come momento di ricerca e di esplorazione, come quella parte del viaggio, interiore e profonda, che non si può compiere che da soli.
Un percorso tra danza, teatro e letteratura alla ricerca di una nuova sintesi tra linguaggi creativi diversi.
Un corpo vivo in scena, da solo, che tenta di farsi specchio, di raccogliere e riflettere le immagini profonde che ci accomunano tutti.
La storia di un progetto in tre fasi
-Prima fase: nel 2011 comincia la prima fase di ricerca “A Oriente! A Oriente!”progetto ideato dalla Coreografa Giovanna Summo (Italia/India), teso a ripercorrere le traccie di “Colui che cerca”, ovvero il Siddharta di Herman Hesse.
Giuseppe Asaro si reca in India e con l’aiuto di Rosa Morelli (Coach metodo Stanislavskji/Strasberg, PNL ), formatosi all’Actor’s Studio di New York comincia un’esplorazione di lavoro sul personaggio del romanzo di Hermann Hesse “Siddharta”.
Solitudine come percorso di ricerca di un uomo che abbandona quello che i sensi conoscono alla ricerca dell’essenza più profonda del suo essere.
-Seconda fase: nel 2012 Asaro si reca al Monte Verità e nelle stanze già frequentate da Hermann Hesse prepara una performance che il fotografo Paolo Tosi trasforma in una serie di immagini. Lo spazio vuoto, abitato dal corpo di un danzatore, una sedia, il silenzio e la luce, raccontano un nuovo capitolo del percorso di “Solitudini”.
-Terza fase: nel 2014 entra nel progetto Luca Spadaro, regista teatrale che collabora con Asaro da tre anni in progetti didattici e di messa in scena. Partendo dal materiale creato negli anni precedenti prende corpo una storia che racconta la ricerca dell’uomo e dall’artista, accanto alle suggestioni del testo di Hesse si aggiungono stralci del romanzo di Heinrich Boll “Opinioni di un clown”, raccontando la ricerca profonda di un uomo e la solitudine di un artista lontano dalle luci della ribalta.
Un racconto formalmente semplice che usa il movimento della danza per dare vita a un racconto drammaturgico e teatrale.
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LABAN EVENT 2016 – GENIUS LOCI
S O L I T U D I N I
ovvero lo stato dell’uomo alla ricerca di un senso
Di e con GIUSEPPE ASARO
Regia LUCA SPADARO